La poesia di Alfredo de Palchi come espressione della effrazione libidica.
Indagine psicoanalitica sopra La buia danza di scorpione, (1947-1951)
a cura di Giorgio Linguaglossa
[...] fuori di sé insiste a frenarsi
squama alla luce - io fuori di senno
persisto la buia danza
di scorpione
Brano di una poesia tratta da La buia danza di scorpione opera scritta nei carceri di Procida e di Civitavecchia (primavera 1947, primavera 1951). Mi scrive de Palchi: «Avevo inserito questa raccolta all'inizio del volume Sessioni con l'analista, ma prima di stampare il libro ritirai in fretta la raccolta, considerandola di stile diverso delle poesie contenute nel volume Sessioni.Forse, ancora oggi dico forse, feci un errore enorme, perché "La buia danza di scorpione, messa nel cassetto, la pubblicai bilingue soltanto nel 1993 da Xenos Books negli Stati Uniti. Così, Sessioni con l'analista (1948-1966) fu pubblicata da Mondadori nel 1967 senza la significativa raccolta che la precede cronologicamente nella nuova collana «Il Tornasole» diretta da Vittorio Sereni».
Cominciamo con lo «scorpione». Come mai questo animale nel titolo? Perché Alfredo de Palchi sceglie questa parola simbolo per incentrarvi la raccolta che scrive nelle prigioni di Procida e di Civitavecchia?
Lo scorpione, apparso circa 350 milioni d’anni fa, sembra voler sfidare le leggi dell’evoluzione dato che la sua forma non ha subito alcun mutamento come se il suo corpo fosse, già dall’inizio, perfetto per il suo modo di vita. Se per i moderni zoologi rappresenta un affascinante enigma, né rettile né insetto, è tuttavia caratterizzato da entrambe le nature. È insetto per la corazza che lo ricopre ma rettile per la vita sotterranea che conduce. Simbolo del mondo anfibio e anche simbolo sessuale per via della sua orrifica danza.
È significativo che nelle antiche culture pagane si ritrovi lo scorpione. Ad esempio, in Egitto lo scorpione fu onorato come dio sotto le sembianze femminili della dea Selkhet, divinità benevola, protettrice delle profondità della terra, che conferiva poteri taumaturgici ai suoi adepti.
I sacerdoti di Selkhet erano abilissimi incantatori di scorpioni e grazie a tali incantesimi erano in grado di farli uscire dalle loro tane senza correre il pericolo di essere punti, e ancora oggi, in Oriente, vi sono persone che riescono a sopportare il continuo contatto con queste spaventose bestiole.
Se presso i Maya lo scorpione era adorato come dio della caccia e simbolo della penitenza, nell'antica Grecia lo troviamo invece come strumento di vendetta usato da Artemide. Narra infatti la leggenda che la dea, cacciatrice e protettrice della fauna, fu offesa da Orione che voleva distruggere tutti gli animali del creato. Ella mandò come punizione un grande scorpione che punse mortalmente Orione al tallone. Artemide, riconoscente, trasformò lo scorpione in una costellazione e poiché anche Orione aveva subito la stessa sorte, da allora e per sempre la costellazione d'Orione è costretta a sfuggire a quella dello Scorpione. Nel Vecchio e Nuovo Testamento lo scorpione raffigura il nemico, il demonio. Nel libro di Ezechiele vengono indicati con il nome di questo animale coloro che sono nemici del profeta e della parola divina. Il cristianesimo delle origini lo adotterà come simbolo di eresia e della dialettica speciosa che mette in dubbio i dogmi dei Padri della Chiesa.
Simbolo anfibio e negativo, in tale accezione il giovanissimo Alfredo de Palchi adotta l'immagine dello scorpione per veicolare una poesia del negativo, dell'effrazione, simbolo della ribellione e dell'eresia, del tradimento e della disfatta.
Possiamo dirlo oggi, a distanza di tanto tempo: la cultura italiana degli anni Sessanta, quando il libro fu pubblicato da Sereni nello Specchio Mondadori, non era preparata a ricevere un tale messaggio simbolico, e infatti il libro venne dimenticato e l'autore rimosso in una sorta di limbo degli infetti, di coloro che avevano avuto nel loro passato il marchio d'infamia di una diversità non conciliabile, ingiustificabile e ingiustificata. L'adesione giovanile alla repubblica di Salò da parte del diciottenne de Palchi fu interpretata come un marchio d'infamia di cui la sua poesia ne innalzava l'emblema sollevandone le insegne del negativo. Equivoco infausto e ingiustificato perché Alfredo de Palchi fu, dopo sei anni di prigione preventiva, completamente prosciolto dall'accusa per non aver commesso il fatto.
Questo è il fatto, o meglio, l'antefatto. Il modo con cui il giovanissimo de Palchi si auto processa è il ritorno alle «origini», fanciullo nelle acque dell'Adige, alla ricerca di una «purificazione» in quelle acque:
Mi dicono di origini
sgomente in queste acque: qui sono erede
figlio limpido - ed amo il fiume
inevitabile
in cui l'intrigo del mio tempo
si accomoda
osservo nel fondo rotolare l'isola
verso il nulla
l'età muta calore
il vespaio del gorgo
e l'uno vuole il perché dell'altro:
tu sempre uguale, io
dissennato
È bene dire subito che la raccolta reca le tracce dell'inconscio di de Palchi, i suoi conflitti lancinanti di cui si troveranno tracce significative in tutta la poesia dell'avvenire depalchiano: l'acqua, le acque dell'Adige (simbolo ad un tempo di purificazione e di infezione); il «seme del girasole», simbolo di rinascita e di consapevolezza embrionale, oltre che simbolo di fertilità e di potenza sessuale; il traditore e, infine, il «fuoco».
Sempre in questa prima raccolta troviamo l'espressione «l'albero di fuoco». Significativo della cinghia di trasmissione metonimica che collega i vari simboli è il triangolo simbolico costituito da: acqua - sperma o seme - fuoco. Dalla psicoanalisi sappiamo che il fuoco è uno dei più comuni simboli libidici direttamente connesso al simbolo del pene: l'«albero» che emette una potenza incendiaria; la corrente libidica che ha per momento di trasmissione la madre, si condensa e si solidifica nel totem del padre, il padre collettivo: la patria che si è arresa oltraggiosamente all'amante, al nuovo padre che ha spodestato il primo. In poesia si verifica un chiaro fenomeno metonimico, uno spostamento delle figure simboliche. La ribellione del protagonista delle poesie coincide con la ribellione politica del giovanissimo Alfredo all'ordine costituito dal «tradimento del padre». E la «madre»? La «madre» si limita a stare al di fuori di questo processo che riguarda soltanto gli uomini: il padre totem e il figlio eretico («all'uscio batte le nocche la madre»).
E il figlio eslege, il figlio eretico e ribelle non può che rispondere con una tipica regressione infantile, ricorre all'arma dello «sputo» su tutti i «traditori», coloro che hanno abbandonato e tradito il vero padre per un nuovo falso padre:
Al calpestio di crocifissi e crocifissi
sputo secoli di vecchie pietre
strade canicolari
il pungente sterco di cavalli immusoniti
in siepi di siccità
(al gomito dell'Adige allora crescevo
di indovinazioni rumori d'altre città)
e sputo sui compagni che mi tradirono
e in me chi forse mi ricorda
Nel momento in cui l'investimento libidico nei confronti della figura «madre» diventa attivo, ecco che essa subisce l'atto della rimozione e non può realizzarsi la sua sostituzione simbolica e metonimica in espressioni letterarie. Il simbolo della «madre» rimane bloccato in quanto sottoposto ad un fortissimo investimento libidico, e quindi, dal punto di vista letterario, inattivo.
Il linguaggio dell’inconscio, come si sa, è figurativo, insieme metaforico e metonimico, si esprime attraverso la formulazione del simbolico. È un linguaggio di scarti, di spostamenti freudiani, di deviazioni metonimiche, di sostituzioni di nomi e di oggetti, di metafore abbaglianti e incomprensibili, che rispondono alla logica simbolica dell'inconscio:
In mano ho il seme
nero di girasole -
so che la luce cala dietro
l'inconscio / ma altre nebule
avanzano
e ho questo seme
da trapiantare
come unico dei sistemi
sconosciuti
(da La buia danza di scorpione (1947-1951)
Il fuoco è un fuoco di origine erotica, e l'incendio è un incendio d'amore, ma il fuoco è anche lo strumento principale che ha il figlio eretico per sopprimere e abbattere il padre-totem, ed è un fuoco distruttore. Il figlio eretico sa che deve conseguire la auto distruzione totale dell'«io» per poter impiegare il fuoco contro i traditori e i vili. Ma il problema è che a questo punto interviene la censura e la conseguente rimozione per cui resta il divieto di nominare direttamente la pulsione ideativa che proviene dal profondo dell'inconscio. E allora subentra l'accettazione della incompiutezza e della codardia del figlio che non ha saputo giungere alle estreme conseguenze del proprio gesto inconscio: l'uccisione del totem. E sarà questa la «verità» tanto cercata dal giovane poeta: «nel giorno della disfatta trovo la verità».
Scrive Freud: «Il calore che il fuoco emana suscita la stessa sensazione che accompagna lo stato di eccitazione sessuale e la fiamma ricorda nella forma e nei movimenti il fallo in attività».1 Nel linguaggio dell'inconscio per Freud si tratta di una lotta ludus di «fallo contro altro fallo». Prometeo, sottraendo il fuoco agli dei e portandolo agli uomini perché lo usassero, li costrinse a rinunciare al piacere che ricavavano da quella «lotta». Ma «l'acquisizione del fuoco» («scroscio d'oro del gallo», con una evidente equivalenza a livello simbolico inconscio tra il «fuoco» e il «gallo»), segna una tappa fondamentale nel cammino della civiltà, da cui ne derivò «una sconfitta della vita pulsionale». La sconfitta che de Palchi definisce così: «nel giorno della disfatta trovo la verità».
Alla luce della realizzazione simbolica, l'inconscio declama la sua vittoria:
Mi condannate
mi spaccate le ossa ma non riuscite
a toccare quello che penso di voi:
gelosi della intelligenza e del neutro
coraggio aggredito dal cono infesto
delle cimici
- io, ricco pasto per voi insetti,
oltre l'ispida luce
vi crollo addosso il pugno
In un'altra poesia, alle «eiaculazioni» dell'io viene contrapposta «la puzza del bugliolo», il «fetore di bugliolo», opera di un «cristo impostore».
Per Jung, la pelle è la pagina su cui scrive la psiche. Per il ventenne de Palchi che scrive queste poesie, le pagine bianche sono le superfici dove incidere le parole, e lo stile depalchiano ne rimarrà folgorato, ripercorrerà in tutta la sua produzione futura la irregolarità metrica delle pulsioni libidiche inconsce. Il foglio bianco come analogo della pelle del corpo. La pelle e il foglio bianco sono infatti il recettore simbolico della comunicazione libidica, il primo binario dove l’energia invisibile della libido si manifesta nel mondo visibile.
Per Jung sia il fuoco che il linguaggio «sono prodotti dell'energia psichica, della libido. Il linguaggio e la produzione del fuoco significarono un giorno il trionfo dell'uomo sull'incoscienza animale, e a partire da quel momento costituirono i rimedi magici più potenti per domare le potenze "demoniche" sempre minacciose dell'inconscio. Queste due attività della libido esigevano attenzione, cioè concentrazione e disciplina della libido stessa al fine di facilitare l'ulteriore sviluppo della coscienza».2 A prescindere dalla questione del «linguaggio», senza dubbio esso è correlato alla «produzione» del fuoco. L'evoluzione della civiltà dipenderebbe da una «disciplina della libido», teoria questa molto prossima a quella freudiana che attribuisce a «una sconfitta della vita pulsionale» «l'acquisizione» del fuoco e i benefici che ne derivarono alla società umana.
1 Cit. in e. Jones, Vita e opere di Freud, vol. III L'ultima fase (1919-1939), Il Saggiatore, Milano 1962 p. 386
2 Jung, Simboli della trasformazione pp. 167, 171